Cambiamento climatico e fiumi alpini – Il progetto PRIN NoAcqua
Il cambiamento climatico sta rapidamente alterando le caratteristiche naturali dei nostri fiumi, con l’intensificarsi di fenomeni estremi come secche e piene. A questi fattori che operano su scala globale si affiancano poi cause locali, come l’eccessiva sottrazione di acqua da parte dell’uomo. In particolare, le secche fluviali si stanno diffondendo sempre di più anche negli ambienti alpini, dove un recente progetto PRIN (denominato significativamente NOACQUA - risposte di comuNità e processi ecOsistemici in corsi d'ACQUA), realizzato dal nostro gruppo di ricerca insieme a UNIPR e UNIFE, ne ha evidenziato il potenziale impatto sulle comunità biologiche, sulla biodiversità e sulla funzionalità ecologica dei fiumi delle nostre Alpi.
In questo progetto ci siamo occupati dell’impatto dell’intermittenza idrologica sulle comunità biologiche di ecosistemi fluviali alpini a regime precedentemente perenne, con particolare attenzione alle ripercussioni su biodiversità, funzionalità e meccanismi di resilienza. Dalla primavera 2017 sono stati effettuati campionamenti in 13 fiumi delle Alpi piemontesi, in cui sono stati identificati un tratto con regime perenne (controllo) e uno intermittente (disturbato). In questi tratti sono state effettuate due campagne di raccolta, analizzando i principali parametri ambientali e caratterizzando le comunità di diatomee e di macroinvertebrati bentonici. Ulteriori campagne di approfondimento sono state svolte in tre fiumi: Po, Pellice e Varaita. I risultati, riassunti in 10 pubblicazioni scientifiche con IF, dimostrano come le secche abbiano un effetto negativo sulla funzionalità dei sistemi lotici alpini, alterandone la produttività primaria interna (stimata come concentrazione di clorofilla bentonica) e la capacità di metabolizzare la sostanza organica di origine terrestre. L’instaurarsi di un regime intermittente provoca una perdita di biodiversità ed una omogeneizzazione tassonomica e funzionale delle comunità alpine, che permane a lungo come ‘memoria’ biologica a seguito della secca e che conferma l’assenza di meccanismi di resistenza e resilienza tipici di sistemi naturalmente intermittenti.
Per quanto concerne le diatomee bentoniche, si è osservato come l’alternanza del processo di lentificazione e il successivo rewetting, caratteristici dei tratti disturbati, alteri significativamente le comunità dal punto di vista tassonomico e funzionale. Inoltre, il tempo di recupero delle comunità di diatomee in fiumi alpini soggetti a secca è significativamente maggiore rispetto a quello osservato in fiumi Mediterranei naturalmente intermittenti.
La resilienza dei macroinvertebrati bentonici è stata analizzata studiando l’importanza di due possibili rifugi durante la secca, ossia la fascia interstiziale e la zona iporreica. Abbiamo posizionato tre piezometri nel tratto saluzzese del Po, interessato dalla scomparsa estiva dell’acqua superficiale.
Grazie questi strumenti, abbiamo raccolto, dall’agosto 2017 all’agosto 2019, organismi e campioni di acqua, le cui analisi, in collaborazione con POLITO, UNIPR e FEM, hanno permesso di osservare come pochissimi organismi riescano a sfruttare gli ambienti sub-superficiali per superare il periodo di secca idrologica. Ne consegue che, dopo ogni episodio di scomparsa dell’acqua, la ricolonizzazione avviene essenzialmente via drift.
Inoltre, per stimare l’importanza delle pozze residuali per la ricolonizzazione del letto fluviale da parte del macrobenthos, abbiamo realizzato un esperimento nei canali artificiali della FEM, che ha nuovamente dimostrato come le pool abbiano un ruolo minoritario, mentre il drift rappresenta il meccanismo primario di ricolonizzazione.