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8 - Nelle terre del Parco del Monviso

Per chi, come me, è nato in un luogo con il vicino Monviso a vegliare sullo sfondo, l’immagine di questa montagna è legata al proprio paese, agli amici, alla famiglia.
Ogni volta che ritorno qui, vedere il Re che diventa sempre più grande man mano che mi avvicino, mi fa stare bene perché so di essere arrivata a casa.
Verzuolo, il mio paese, è ubicato sul fondo della Valle Varaita, ma è a pochi chilometri da Saluzzo, porta d’accesso per la Valle Po.
Recentemente ho letto un bel libro su quest’ultima, e mi ha colpito molto una frase che sintetizza il perché lassù sia così bello: “Vado su a vedere i boschi”. Vado su.
Ogni volta che risalgo in Valle Po penso ai boschi, ma penso anche al Re di Pietra e lo cerco con lo sguardo per ammirarne il fascino eterno e lasciare correre i miei pensieri.
Ed ogni volta che ridiscendo in pianura penso già a quando tornerò qui. Il Monviso, grazie alla potenza ed al carisma della sua triangolare sagoma, è un simbolo che catalizza su di sé ogni attenzione; tuttavia, sotto questa montagna si trovano paesaggi e caratteristiche che meritano di essere altrettanto considerati, elementi della natura che sono alla base della tutela del Parco del Monviso.
Muovendosi con la sola forza delle proprie gambe tra sentieri e mulattiere che stanno scomparendo, o tra percorsi che si stanno riscoprendo, si possono infatti trovare le tracce della natura unica e tipica di questi luoghi.
Dalle vicine quote di pianura a quelle poco sotto i quattromila metri si sviluppano molteplici e variegati ambienti in una relativamente limitata estensione chilometrica.
La Montagna ed il Grande Fiume formano un connubio su, al Pian del Re, poi il rivoletto si stacca dalla roccia, compie un grande salto su Pian della Regina ed inizia la sua discesa impetuosa verso la pianura, accogliendo altri corsi d’acqua.
Non più torrente ma non ancora fiume prende con sé il Varaita, il Bronda ed il Pellice, contornato dai boschi di pianura e dai primi pioppeti che dispiegano le argentee foglie per farle brillare al sole. Questo è il Po a me familiare, non ancora navigabile, il nastro d’acqua dove nelle giornate più terse il Monviso si specchia quando passo sul ponte di Casalgrasso. Risalendone idealmente il letto puntando su verso il Re di Pietra, si passa vicino alla millenaria e suggestiva Abbazia cistercense di Staffarda, ancora nella piana, quindi si sale in valle transitando per Revello, Rifreddo, Sanfront, Paesana e quindi Crissolo.
In questa primavera ricca d’acqua il Po canta la sua melodia aprendosi il varco in mezzo ai fitti boschi che rivestono le alture della Valle. Fermandosi per un poco ad ascoltarlo, si ritrova la giusta lentezza che ci permette di ascoltare il nostro io più profondo e ritrovare noi stessi.
Con il giusto stato d’animo, risalire su alle sorgenti del Po è come ritornare alle origini. L’acqua filtra sulla grande spianata di Pian del Re, permeando il terreno e dando luogo ad una estesa torbiera che in autunno attira numerose specie di uccelli che qui trovano considerevoli quantità di insetti.
La verde erba di questa stagione, verso l’estate si colora del rosa dei rododendri e si punteggia del blu delle genzianelle, quindi si arrossa con le foglie dei mirtilli in autunno per poi rivestirsi di neve con i primi freddi. In primavera, crochi bianchi e viola bucano il manto nevoso e le prime marmotte escono curiose lanciando i loro fischi che si perdono fra le rocce, cervi, caprioli e stambecchi si fanno intravedere dopo il lungo inverno.
Da qui salgono dedali di sentieri, dei molti che si percorrono durante il Giro del Monviso intorno alla vicinissima catena del Monviso.
Le nebbie avvolgono spesso questi posti; risalgono rapide dalla vicina pianura e cozzano contro le ardite rocce della corona del Re di Pietra. Nascondono a tratti i sentieri e permeano con dense volute gli specchi d’acqua. Le nebbie sono il fascino a volte traditore dell’alta Valle Po. Vanno e vengono, giocano con i raggi di sole e creano illusioni per la vista, modificando sagome note e cancellando punti di riferimento. Poi all’improvviso scompaiono così come sono apparse.
Lasciandosi alle spalle Pian del Re, la natura ci regala splendidi specchi d’acqua che sfiorano i percorsi di chi sale in alto, vicino al cielo, al quale essi rubano un po’ del suo colore.
Il Fiorenza, dove Monviso e Visolotto insolitamente simili da questa prospettiva si specchiano e dove è facile incontrare la timida e lenta salamandra nera di Lanza, specie endemica che vive solo qui.
Il Chiaretto, con il suo singolare colore turchese lattiginoso, circondato da ciclopiche pietre venute giù con buona parte del ghiacciaio Coolidge, direttamente dal Monviso, poco meno di trent’anni fa.
Il piccolo Lausetto, con le sue infinite sfumature di blu ed il lago Superiore, lingua d’acqua incastonata fra pendii erbosi.
E poi il lago Grande, che si svela oltre il Colle di Viso, quindi i minuscoli laghi delle Sagnette ed ancora l’ameno lago dell’Alpetto, con il primo rifugio del CAI italiano, dal nome omonimo, li al suo fianco…
Mi piace pensare che i laghi alpini siano così blu perché il cielo quando ha sete scende e li bacia per bere la loro acqua fresca.
Coloro che salgono fin qui spesso desiderano salire ancora, per l’eterno bisogno umano di avvicinarsi al cielo, ed i sentieri che s’inerpicano su per assecondare questo desiderio sono infiniti.
In montagna la strada per il cielo è contrassegnata da segni bianchi e rossi ed è macchiata dai mille colori delle giacche a vento e degli zaini di chi la percorre. Lungo la via, le chiacchiere fra amici si intrecciano con pensieri e sensazioni, da condividere insieme ad un panino di salame ed una golata di acqua fresca.
Camminando si raggiungono posti permeati di storia, come il Buco di Viso o il rifugio dell’Alpetto, luoghi mitici come il rifugio Giacoletti, che con le sue triangolari bandierine colorate sembra un luogo senza confini dove chiunque può stare sentendosi affratellato con il mondo.
E forse il senso del mondo è qui, in questa semplice costruzione abbarbicata alla base di Punta Udine, all’estremità del ripido canalone che in picchiata riconduce giù a Pian del Re, ed osservata dallo spigolo del Monviso che da quassù appare affilato come una lama.
O forse è più in alto, dove solo alcuni osano andare. Forse è in cima al Re di Pietra, perché da lassù si riesce veramente a liberare la mente da ogni affanno comprendendo che l’unica certezza nell’evolversi degli eventi è la completa accettazione dell’ordine naturale delle cose.
La montagna trasmette emozioni e ci parla attraverso segni che ripercorrono la vita ed il pensiero dell’uomo. Sede del divino, che nell’immaginario comune dimora in alto, semi celato dalle nubi, o metafora della libertà individuale e del desiderio di esplorare insito in ciascuno di noi. Quel mondo lassù, all’apparenza così freddo e severo, affascina ed illumina i cuori e riesce a far alzare lo sguardo anche a chi è troppo preso dal vivere quotidiano.
Lassù, dove la notte il cielo dispiega milioni di stelle come una coperta per proteggere le vette, accendendo la gelida oscurità di puntini luminosi che ci fanno sentire meno soli. Ed alle prime luci dell’alba, la luna piena andrà a morire dietro il Re di Pietra, per addormentarsi negli splendidi territori del Parco del Monviso (MAB Unesco).

Elena Cischino

Ingegnere, appassionata di paesaggi di montagna in tutte le stagioni, che vive attraverso escursioni alla portata di tutti nelle valli intorno al Monviso, condivide le sue esperienze di cammino nella rubrica “Racconti di un’escursionista qualunque“ sul sito web monvisopiemonte.com
https://www.monvisopiemonte.com
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L'articolo è disponibile all'indirizzo https://www.monvisopiemonte.com/nelle-terre-del-parco-del-monviso dove troverete anche gli altri racconti di viaggio.

Testo di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati

Ultimo aggiornamento: 20/03/2020 22:57
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