Storie di eco-attori: una ristrutturazione edilizia a Paesana
Quella dove abbiamo scelto di abitare non è, per noi, una semplice casa. Anzi, a dirla tutta, in origine non era nemmeno una casa, ma un semplice trabià, un tipico fabbricato contadino piemontese con stalla e soppalco-fienile a servizio dell’immobile principale che, nel nostro caso, ospitava l’osteria del centro del paese. Una testimonianza dell’anima rurale di Paesana, che conserva con orgoglio le ferite dell’incendio del 1 agosto 1944, come alcune piglie in mattoni ancora annerite, e volutamente non ripulite.
“Cosa ti importa di cosa costruiscono lì dietro… prendi una bella cifra per l’esproprio, e ti fai una casa nuova altrove”, suggerivano alla fine degli anni 80, mentre le valli perdevano identità e memoria nelle colate di cemento, in nome di un presunto modello di sviluppo che trova oggi precisa definizione: caos urbanistico. Seppur in buono stato di conservazione e costantemente manutenuto, infatti, il fabbricato era considerato dai più “un mucchio di pietre”, l’ideale da abbattere per facilitare l’accesso ad una nuova area edificabile da realizzarsi in pieno centro.
Alcune delle fotografie della galleria sono state scattate da Sergio Beccio e da Cristian Mustazzu
Grazie alla tenacia di chi ci ha preceduto, l’immobile è arrivato fino a noi; con stupore, anche i consigli, riemersi alla vigilia della nostra ristrutturazione, tre anni fa: “Prendete il superbonus, così finalmente potete sbattere giù quel mucchio di pietre e farvi una bella palazzina anche voi”.
Non ne abbiamo mai avuti da vendere, eppure non ci è bastata la promessa dei soldi facili per dimenticare chi siamo e da dove veniamo. L’orgoglio e la memoria non si vendono ma il vero problema, a nostro avviso è che, se non li hai, non li puoi nemmeno comprare.
E così, alla logica del prendere abbiamo preferito quella del dare: dare valore a quello che avevamo, riportando alla luce l’anima rurale della vecchia Paesana, mantenendo inalterati la stalla, il fienile, e persino i ganci dove i clienti dell’osteria legavano i muli in occasione del mercato settimanale.
La stalla è oggi spazio condiviso tra l’azienda agricola di Alberto, con un angolo dedicato per esposizione e vendita diretta dei mieli biologici, e l’ufficio di Caterina, libera professionista.
Lo spazio, che definiamo informalmente “uffigozio” ha recuperato così in un certo senso la funzione originaria, che ci riporta a quando il bisnonno di Caterina sbrigava qui, anziché nell’osteria dall’altra parte del cortile, le pratiche di fiduciariato per mutilati e invalidi, essendo sicuro che nel calore della stalla gli utenti, allora quasi vergognosi di chiedere il sussidio per le mutilazioni subite, si sarebbero sentiti maggiormente a proprio agio.
Non ci piace parlare di bioedilizia, termine tanto in voga quanto abusato: preferiamo dire che il nostro è stato un lavoro di recupero e riutilizzo di tutto quello che lo spazio offriva, nel margine del possibile e delle normative: le pietre e i mattoni dei rivestimenti derivano dalle aperture per le nuove finestre. Soglie, mensole, portoni e scale sono originali o di recupero. I serramenti – nuovi e in triplo vetro, secondo normativa del risparmio energetico – sono in legno di larice e realizzati da un’azienda famigliare di valle, così come “di valle” è la quasi totalità degli artigiani coinvolti.
Per scaldarci, utilizziamo una stufa a legna di ultima generazione, che alimentiamo con legname autoprodotto e ottenuto dalla pulizia dei nostri boschi, gli stessi dove produciamo il miele di castagno. Ci siamo attrezzati con un impianto fotovoltaico dotato di accumulo, che ci permette di essere autosufficienti anche nelle giornate di brutto tempo. Il nostro orto è in funzione tutto l’anno, così come la cisterna di stoccaggio acqua per la sua irrigazione, posizionata a raccolta dei pluviali.
Siamo convinti di non aver fatto nulla di eccezionale, nulla di inaccessibile alla gran parte di noi. Certo, la lungimiranza di chi ci ha preceduti ci ha permesso di avere in mano una base di partenza non deturpata nella sua essenza. Ma da lì in poi, con una buona dose di buona volontà (di informarsi, e di fare in prima persona) nulla è impossibile. A maggior ragione in considerazione del fatto che, contrariamente ai luoghi comuni, i materiali naturali non costano necessariamente più di quelli più largamente utilizzati. Con un vantaggio impagabile: quando la nostra piccola Teresa abbraccia e morde i muri, la guardiamo tranquilli e felici!
Siamo sempre felici di raccontare quest’avventura proprio per diffondere un messaggio soft e accessibile: non occorre essere eroi, condurre vite da eremiti green e avere a disposizione cifre esorbitanti per cercare di lasciare un’impronta ecologica più leggera possibile.
Quando svolgi un lavoro che ami e in cui credi, diventa normale e quasi automatico seguire nella quotidianità i principi di sostenibilità che regolano regimi di qualità come il biologico o l’appartenenza a gruppi come gli eco-attori della Riserva della Biosfera transfrontaliera del Monviso.
Alberto Fino e Caterina Morello