arco di una casa nobiliare di Casteldelfino, con capitello decorato

L'Escarton di Casteldelfino, al di qua del colle dell'Agnello

Il Colle dell’Agnello, con i suoi 2.744 metri di altitudine, permette il collegamento con la Val Varaita, terra della Chastelado, delimitato a destra dalla valle di Bellino, a sinistra dalla cresta spartiacque del Monviso e a sud dal gruppo di case della borgata Confine, che segnavano il limite con il Marchesato di Saluzzo.

Gli antichi borghi.
L’attuale Casteldefino, capitale della Castellata di cui facevano parte anche i comuni di Bellino e Pontechianale, era anticamente chiamato Villa Sant'Eusebio ed era posto più a valle rispetto all’ubicazione attuale. Dopo la devastante inondazione del 1391 il paese venne riedificato nel Borgo di S. Margherita. Il nome di Castrum Delphini venne attribuito da Umberto II di Vienne e richiama la presenza del castello, fatto erigere nel 1336 su uno sperone roccioso, di cui sono rimasti, a seguito della distruzione nel 1690 durante gli scontri fra le truppe piemontesi e francesi, solo i resti delle mura perimetrali ed alcuni ruderi. L’unico segno rimasto dell’antica Sant’Eusebio è la chiesetta del XII secolo.

Bellino, altro Comune della Castellata, vede il suo nome associato, in alcune ipotesi, al dio celtico del sole Belenus, l’apollo dei Romani, in ricordo della colonizzazione da parte dei Celti. La versione più attendibile sembra però essere derivata dal francese medievale “belins”, ovvero pecore, in riferimento all’allevamento ovino. E’ costituito da un inseme di borgate che vengono suddivise in due contrade: il Cartier n’Aval (inferiore), formato dai nuclei di Ribiera, Masdelbernard, Chiesa (qui è presente la parrocchiale di San Giacomo ornata dalle teste mozze “les têtes coupées”), Fontanile, Blas e Pleyne e il Cartier n’Aout (superiore) che comprende le borgate di Prafauchier, Celle e Chiazale.

Anche questa valle è stata teatro di scontri politici e religiosi, di cui si può ricordare la feroce battaglia del 1744 fra truppe piemontesi e francesi sulla cima denominata proprio “della Battagliola”. Questa zona è inoltre caratterizzata da un notevole patrimonio gnomonico (le meridiane) costituito da 38 quadranti solari, che attualmente è oggetto di un interessante percorso di visita.

Anche il Comune di Pontechianale è formato da diverse borgate. In particolare la frazione Castello rivestiva nel Medioevo un importante ruolo difensivo per la sua posizione di sbarramento all’accesso alla valle. Anche il borgo più a monte, Chianale, costituì in passato un luogo strategico sulla via che conduce in Francia tramite il Colle dell’Agnello, punto di dogana e di pedaggio. Qui si trova la romanica chiesa di Sant’Antonio con un ricco portale ed internamente un ciclo di affreschi medievali.

Nel corso dei secoli, rispetto alle vicende che segnarono la storia degli Escartons di Oulx e Pragelato, Casteldelfino si ritrovò un po’ in disparte, per la sua posizione geografica e l’assenza di dirette vie di comunicazione.

Il regno centenario del “cembro”.
Dal punto di vista naturalistico è rilevante la presenza del Bosco dell’Alevè (elvo è una parola in lingua d’òc che significa cembro). Il cembro è una particolare conifera che si distingue per il raggruppamento degli aghi in fascetti di 5; la fioritura avviene nei mesi tra giugno e agosto; in autunno maturano invece i frutti, le pigne o strobili, che vengono raccolti o diventano cibo per scoiattoli, cinghiali, ghiandaie e nocciolaie. Proprio questo uccello è il maggior artefice della diffusione del cembro grazie alla disseminazione dei pinoli nelle cavità o nel terreno in mucchietti nascosti.

Il Bosco dell’Alevè è antichissimo ed era noto già agli antichi romani (oggi il cembro più vecchio dell’Alevè conta più di seicento anni!). Esso ricopre una superficie di circa 825 ettari, si estende dai 1500 ai 2500 metri s.l.m. e rappresenta la più vasta e pura pineta di cembro del versante italiano.

La salvaguardia nel tempo di questa area ha potuto aver luogo anche per la presenza di molte zone inaccessibili, di versanti scoscesi e rocciosi che rendevano difficoltosi i tagli. Una vera tragedia ecologica ebbe luogo invece durante le campagne militari della metà del ‘700, con dissennati e massicci abbattimenti di alberi centenari, destinati alla fabbricazione di palizzate difensive che si snodavano per circa 15 chilometri dalle pendici del Monviso fino alle falde del Monte Pelvo. Tali opere sono peraltro rimaste inutilizzate o più semplicemente sono servite per il recupero di legna da ardere per l’accensione dei fuochi negli accampamenti delle truppe franco-spagnole o sabaude. Normalmente, però, il cembro non è utilizzabile come legna da ardere; infatti, essendo molto ricco di resina intasa la canna fumaria. Al contrario il suo legno si presta per la realizzazione di mobili ed oggetti intagliati, in quanto molto tenero quando è ancora verde, quindi facile da lavorare. Con il passare del tempo il cembro è stato altresì soppiantato dal larice, pianta dai molti utilizzi.

Dal 1949 il sito è iscritto nel Registro dei boschi da seme e dall’anno 2000 è stato riconosciuto come “sito di interesse comunitario” (S.I.C.).

Ultimo aggiornamento: 12/11/2024 11:43