Esterno di un edificio religioso con numerose decorazioni pittoriche sulle pareti e un campaniletto a vela

La religiosità negli Escartons

La dimensione culturale.
Religione e Società sono due aspetti paralleli e per molti versi inscindibili: difficile comprendere l’uno senza conoscere l’altro. Nel settore delle Alpi occidentali interessato dalla Confederazione degli Escartons, la molteplicità degli eventi intervenuti nel corso dei secoli, i passaggi di popoli, gli scambi di tradizioni e di conoscenze hanno permesso la nascita di una organizzazione comunitaria e di cultura materiale e religiosa peculiari e strutturate, uniche al di qua ed al di là delle Alpi.

Le montagne che oggi segnano il confine tra gli Stati, hanno costituito in passato non barriere bensì punti di riferimento e canali di collegamento tra le vallate, una cerniera che ha consentito a genti, luoghi e percorsi vitali e culturali, fisicamente distanti tra loro, di incontrarsi e collegarsi.

Architetti, pittori itineranti, artigiani, viandanti, predicatori e pellegrini hanno attraversato le Alpi, dal Queyras alla Valle Varaita, dal Briançonnais alle Valli d’Oulx e di Pragelato portando con sé il proprio bagaglio di conoscenze diventando testimoni e strumenti di un’unione tra popoli e culture. Castelli, fortificazioni, chiese, abbazie e cappelle votive che punteggiano le vallate sono segni importanti di eventi significativi che hanno segnato la storia comune, anche religiosa, dei due versanti delle Alpi.

La cristianizzazione.
Il Cristianesimo nelle valli degli Escartons vide probabilmente le sue origini con il passaggio delle truppe romane alla conquista delle Gallie e trovò, nei secoli successivi, abili messaggeri in mercanti e viaggiatori. Alcuni soldati romani erano cristiani. Grande devozione è ancor oggi riservata ai militi della legione Tebea (San Lorenzo, San Chiaffreddo, San Magno, Sant’Ippolito…); ad essi sono dedicate chiese, cappelle ed affreschi sui piloni votivi. Secondo la tradizione più diffusa, nel 286 fu inviato nelle valli alpine un contingente di legionari provenienti dalla Tebaide, in Egitto, con l’ordine di perseguitare i discepoli di Cristo. Quando conobbero lo scopo della loro missione quei soldati si rifiutarono di eseguire gli ordini, e di fronte alla loro ribellione l’Imperatore Massimiano ne decretò la decimazione.

La fede cristiana si appropriò delle feste sacre e delle devozioni precedenti caratterizzandole con significati insiti nella propria cultura: creò le condizioni perché un vecchio culto a poco a poco venisse interpretato con la morale e i caratteri della nuova religione ormai predominante. Tutto ciò condusse alla conservazione nelle società pastorali di tradizioni che, immutate da secoli, si tramandano fino ai giorni nostri.

Ne sono un esempio i fuochi di San Giovanni: attraverso le ceneri dei falò accesi la notte del 24 Giugno vengono fatti passare gli animali, prima di salire ai pascoli montani, per proteggerli dalle malattie. Il vero significato del rituale è legato al culto precristiano del sole: l’accensione dei fuochi voleva prolungare la durata del giorno anche quando, passato il solstizio d’estate, le giornate cominciavano ad accorciarsi.

La prima data certa dell’avvento del cristianesimo sulle montagne della Val Susa è il 30 gennaio 726, quando Abbone, Governatore di Susa e della Maurienne, fondò l’Abbazia dei Santi Apostoli Pietro e Andrea a Novalesa. Alla novella abbazia vennero fatte numerose donazioni destinate ai monaci ed ai poveri che esse avrebbero assistito: dalla Valle di Susa alla Val Cenischia, dal Moncenisio alla campagna di Grenoble, a Vienne, a Lione, da Briançon ad Embrun, da Gap a Sisteron, da Marsiglia a Toulon. All’invasione dei Saraceni nel 906 corrisponde il declino dell’Abbazia della Novalesa. L’Abbazia fu saccheggiata e distrutta e, pur risorgendo in seguito, non ritornò all’antico splendore.

La prevostura di Oulx.
Dopo la cacciata dei Saraceni, avvenuta nell’anno 1000 grazie ad Arduino il Glabro, la fondazione della Prevostura di Oulx segnò la storia religiosa degli Escarton di Oulx, Pragelato e Briançon per oltre sette secoli, fino alla creazione della Diocesi di Pinerolo (1748), avvenuta dopo il trattato di Utrecht (1713) anche con l’intenzione di eliminare l’istituzione troppo legata alla Francia.

Caratteristica peculiare di questa fondazione è che essa non venne per volontà di ricchi e potenti Signori (come Novalesa o la Sacra di San Michele), che però successivamente conferirono riconoscimenti e donazioni, ma a partire da un gruppo di sacerdoti che si unirono per fare vita comune. Essi appartenevano all’ordine dei Canonici Regolari Lateranensi e seguivano la Regola di Sant’Agostino per questo motivo si chiamò Prevostura e non Abbazia.

Nel 1098 Guiberto I, vescovo di Torino, sottomise alla Prevostura di Oulx “Ecclesiam de Pratogelato… de Uxellis, de Fenestrellis, de Mentullis” (le chiese di Pragelato, Usseaux, Fenestrelle e Mentoulles).

I Valdesi.
Il XII ed il XIII secolo furono anni burrascosi per la Chiesa. Sorsero, infatti, in Europa numerosi movimenti religiosi: gli Albigesi, i Catari, i Valdesi. Questi ultimi, sorsero a Lione a seguito della predicazione di Valdo.

Del fondatore Valdo o Valdesio si sa con certezza che era un mercante di Lione. Ebbe un’esperienza radicale di conversione incentrata sulla povertà e sul desiderio di predicare il Vangelo verso il 1170, e morì probabilmente nel 1206. Il contrasto con l’istituzione ecclesiastica di Valdo e dei suoi seguaci (chiamati “poveri di Lione” e solo più tardi “valdesi”) è, con ogni verosimiglianza, più subìto che cercato.

Nonostante le condanne ecclesiastiche, dopo la morte di Valdo la separazione dei suoi seguaci da Roma non sembrò ineluttabile: un gruppo di “poveri di Lione” sotto la guida di Durando d’Osca (di cui pure poco si sa) si riconciliò con il Papa Innocenzo III (1160-1216) nel 1208. Altri “poveri”, non “riconciliati”, rimasero ai margini della Chiesa di Roma, in una posizione ambigua, o intraprendono decisamente il cammino della rottura, pur tra dissensi interni.

Diffuso in diverse regioni dell’Europa continentale, il movimento valdese fu attivo durante tutto il medioevo, ma le Alpi Cozie (sia sul versante francese che su quello piemontese) costituirono un territorio di particolare interesse perché qui la sua presenza si mantenne costante dall’inizio del XIII al XVI secolo. La rapida diffusione fu probabilmente legata all’isolamento e alla lontananza delle valli dai centri episcopali di Torino ed Embrun.

Repressioni, processi e condanne, a partire dal XIII secolo, non riuscirono a cancellare il valdismo: la sua forza era rappresentata da un forte radicamento familiare e dalla forte coscienza di identità mantenuta viva dall’opera costante dei predicatori, i cosiddetti “barba”.

Il XVI secolo fu caratterizzato da un nuovo movimento religioso che ebbe rivoluzionari risvolti politici: la Riforma protestante, nata in Germania ad opera di un monaco agostiniano di nome Martin Lutero. Le nuove idee, soprattutto grazie a Calvino, penetrarono anche in Francia. Qui i protestanti presero il nome di Ugonotti e sotto il regno di Enrico III invasero il Queyras.

Nel 1532, con il sinodo di Chanforan (Val Pellice), i Valdesi aderirono al Protestantesimo e, ispirandosi alla chiesa calvinista ginevrina pur mantenendo la propria autonomia, si attribuirono un’adeguata struttura organizzativa e determinarono la separazione totale e definitiva dalla Chiesa cattolica. Nel 1578 tali calvinisti, già saldamente attestati nel Queyras, scesero nell’alta Val Varaita convincendo o forzando i locali a convertirsi al nuovo credo oppure a lasciare il paese, da cui anche i parroci erano stati estromessi.

Con la Riforma cominciarono nelle valli vere e proprie guerre di religione condizionate dalle vicende politiche tra la Francia ed i Duchi di Casa Savoia. Tali contrasti si ripercuotevano non solo nella vita religiosa ma anche civile, prima con l’Editto di Nantes emanato dal re di Francia Enrico IV il 13 aprile 1598, che concedeva la libertà di culto ai Protestanti, poi con la sua revoca (18 ottobre 1685).

In seguito alla revoca dell’editto di Nantes, anche i protestanti presenti nei territori degli Escartons e nelle valli limitrofe furono costretti a fuggire verso il Nord Europa o rinchiusi nelle prigioni. Di questo movimento storico non esiste più traccia nell’Italia attuale se non per i Valdesi. I superstiti alle intense persecuzioni riuscirono infatti a trovare scampo in Svizzera e Germania da dove sarebbero tornati nel 1689 con una spedizione diventata quasi leggendaria: la Glorieuse Rentrée, undici giorni di marcia guidati dal pastore Henri Arnaud.

Solo nel febbraio 1848, dopo alcuni decenni di recrudescenza dell’intolleranza in conseguenza della Restaurazione, il popolo valdese ottenne dal Re Carlo Alberto il riconoscimento dei diritti civili e la libertà di culto. Da allora cattolici e valdesi vivono in pace ed il 17 febbraio è giorno di festa: nelle vallate vengono accesi dei falò per ricordare quelli accesi nella notte del 1848 per comunicare tra i paesi la firma del decreto.

L’arte sacra.
Secoli di guerre di religione hanno cancellato, nelle zone più coinvolte, importanti e preziose testimonianze di arte religiosa, ma, ovunque, la profonda religiosità dei montanari è stata protetta nell’intimità delle famiglie e traspare nei piccoli oggetti e nei gesti quotidiani giunti fino a noi.

Gli oggetti in legno, dalle culle alle marche per il pane o per il burro erano arricchiti da decori intagliati che attestano un linguaggio simbolico, in alcuni casi legato a culti pagani (il rosone che simboleggia il sole o il cuore probabilmente legato ad antichi riti celtici…), in altri a forti valori cristiani (la croce, gli strumenti della passione, il monogramma di Cristo IHS, WM viva Maria…).

Le chiese e le cappelle campestri rappresentavano ambienti di forte aggregazione comunitaria oltre che di fede. Qui i capifamiglia si riunivano in assemblea per prendere le decisioni importanti, fossero esse la promessa solenne di un voto in tempo di peste o provvedimenti con cui affrontare calamità naturali. Le loro campane non solo cadenzavano i ritmi delle stagioni e delle giornate, ma annunciavano lieti o tristi eventi, le riunioni della comunità, oppure richiamavano a raccolta la popolazione in caso di pericoli.

I vari giorni dell’anno dedicati alla commemorazione dei Santi scandivano le feste ed i lavori agricoli: a San Giovanni (24 Giugno) le mandrie salivano agli alpeggi, a San Michele (29 Settembre) ritornavano nel fondovalle. Uno dei tanti detti popolari legati ai tempi della natura e dell’agricoltura diceva: Peur San Jorgë seumènë toun jorgë, peur San Mar l i tro tar (per San Giorgio semina il tuo orzo, perché per San Marco è già troppo tardi).

Semplici riti da non dimenticare e valorizzare che testimoniano la profonda devozione di piccole Comunità alpine, vissute negli stenti senza mai perdere la propria fede.

Ultimo aggiornamento: 12/11/2024 11:50