Un canale irriguo su cui si riflettono i tronchi degli alberi che sono sulle rive

Un altro inverno con poche precipitazioni atmosferiche nel Parco del Monviso

L’inverno che si è appena concluso ha fatto registrare precipitazioni atmosferiche molto scarse sul territorio in cui ricadono le aree naturali protette del Monviso: nel periodo gennaio-marzo 2023 sono caduti complessivamente 63mm di pioggia, pari al 43% della norma del periodo calcolata sulla media dei dati raccolti tra il 1991 e il 2020. Un dato che non rappresenta un “record” ma che si inserisce comunque in un andamento già evidenziato negli scorsi anni: quello dello scorso anno, ad esempio, è stato l’inverno più siccitoso di sempre per il nostro territorio. I dati, forniti dalla Società Meteorologica Italiana che elabora per il Parco del Monviso il servizio di previsioni MeteoMonviso, sono quelli rilevati dalla stazione Arpa Piemonte installata presso il lago di Castello di Pontechianale, attiva dal 1943.

La mancanza o la scarsità di precipitazioni in piena stagione invernale, in particolare di nevicate, è un fenomeno atmosferico rilevato già da tempo e che si collega in modo inequivocabile alla crisi climatica in atto, che sta conducendo al surriscaldamento globale. Questa situazione ha ricadute pratiche molto concrete in termini di disponibilità di acqua nel periodo estivo poiché genera, insieme ad altre pressioni, un abbassamento della falda acquifera in pianura. Eventuali nevicate tardive o primaverili, anch’esse per la verità sempre più frequenti in questi anni, non sono in grado di invertire la tendenza, perché le temperature medie del periodo favoriscono un più rapido scioglimento della neve, che quindi non riesce a permeare il terreno sul quale si è depositata e non contribuisce a ricostituire la falda.

A seguito di queste tendenze climatiche, la disponibilità idrica estiva è scarsa anche in montagna: è capitato che i pastori all’alpeggio siano rientrati prima del tempo per mancanza di acqua di abbeverata e per l’anticipata secchezza dei pascoli e nel 2021 ha fatto notizia la chiusura anticipata del rifugio Quintino Sella per l’esaurimento delle risorse di acqua potabile. L’abbassamento del livello dei laghi alpini è un altro segnale importante, e facilmente visibile da chiunque, di questa situazione.

Le conseguenze di questa estrema situazione climatica dell’inverno si ripercuotono anche su specie di notevole interesse per l’Ente di Gestione delle Aree Protette del Monviso, specialmente se le condizioni di siccità perdureranno anche nella stagione estiva.

Un esempio è costituito dai chirotteri che svernano nella grotta di Rio Martino, censiti ogni anno a partire dal 1992. Nei rigidi inverni alpini la grotta fornisce un ambiente a temperatura costante e più elevata rispetto all’esterno man mano che si va in profondità, condizioni necessarie all’ibernazione dei chirotteri. In media ogni anno venivano registrati 162 individui svernanti (con un massimo di 410 individui nel 2014) mentre il censimento effettuato nel febbraio 2022 ha invece individuato solo 22 individui di Barbastello, la specie di pipistrelli più rappresentativa nel sito, e gli esemplari delle altre specie, che necessitano di temperature più miti e costanti, sono stati rilevati in tratti della grotta molto meno avanzati rispetto ai 30 anni di osservazioni disponibili.
Il monitoraggio effettuato ad inizio febbraio 2023, avvenuto nell’unico periodo in cui le temperature sono scese nella norma invernale per l’area, ha invece contato 152 individui, tra cui è nuovamente comparso il miniottero comune (Miniopterus schreibersii), specie termofila abbondante nelle regioni mediterranee comparsa nella grotta di Rio Martino a partire dal 2018 con un solo individuo.
Le temperature miti e la siccità influiscono quindi sia sul comportamento dei chirotteri svernanti in grotta (diverso utilizzo rispetto agli anni passati dei tratti della grotta a seconda della temperatura esterna e sfruttamento più frequente di spazi esterni alla grotta almeno nei periodi con temperature meno rigide), sia sulla composizione delle specie presenti, riscontrando sempre più spesso la presenza di specie diffuse in aree mediterranee.

Anche la salamandra di Lanza, specie iconografica del massiccio del Monviso, endemica e riconosciuta quale specie a priorità di conservazione dalla Direttiva Habitat, potrebbe risentire di questa situazione climatica. L’anfibio sta ora riposando nei rifugi invernali, ma tipicamente colonizza ambienti alpini con elevata umidità e piovosità, caratterizzati da un esteso sviluppo di nascondigli superficiali come tane di micro-mammiferi, crepacci sotterranei o anfratti tra i massi. Gli habitat più utilizzati sono in genere i lariceti, specialmente alle quote più basse, le boscaglie rade con sottobosco di tipo erbaceo e le praterie alpine intercalate da massi, spesso nelle vicinanze di corsi d’acqua e laghi. Al suo risveglio, se le condizioni climatiche non cambieranno, si troverà in un habitat sicuramente più secco rispetto ai parametri ottimali della specie a cui farà seguito, come negli ultimi anni, un’estate molto calda.
Proprio per andare a capire come gli attuali cambiamenti climatici in atto andranno a influire sulla sopravvivenza a lungo termine della specie, il l’Egap Monviso , in collaborazione con gli enti che gestiscono i territori in cui è presente la salamandra di Lanza (Parco Alpi Cozie, Città Metropolitana di Torino, Parc Naturel Regional du Queyras e Réserve Naturelle Nationale Ristolas Mont Viso) e nell’ambito del progetto a finanziamento europeo PITEM Biodiv’Alp, ha realizzato una mappa di idoneità ambientale della specie. Partendo dai parametri ambientali caratteristici dell’habitat della salamandra, modellizzandoli con i diversi scenari previsti di cambiamento climatico, si intende trarre utili informazioni per la gestione futura della specie.

Spostandosi in pianura, una diversa distribuzione stagionale delle piogge e un aumento delle temperature medie, in aggiunta all’abbassamento della falda, sta creando problematiche di deperimento delle farnie e dei rari querco-carpineti di pianura, habitat forestali ormai relegati in pochissime aree a livello regionale.
La mancanza di precipitazioni invernali si traduce anche in una sofferenza delle aree umide, specialmente di quelle in pianura, già rare e strettamente collegate all’affioramento superficiale della falda, ma anche di quelle situate in quota, come ad esempio la famosa torbiera del Pian del Re posta a poca distanza dalle sorgenti del Po, fiume che a sua volta soffre in termini di portata lungo tutta la sua asta, come è emerso chiaramente in questi mesi.

Ultimo aggiornamento: 26/04/2023 12:05