News del 09/01/2018

Il letargo - parte 1

Il letargo è un concetto ben presente nell’immaginario comune e associato indissolubilmente all’inverno, tuttavia questo fenomeno naturale riserva numerose sorprese e rappresenta uno degli ambiti di studio di grande interesse per la scienza. Infatti, non tutti i suoi aspetti fisiologici ed evolutivi sono ancora del tutto chiariti (es. quando è comparso nella storia evolutiva dei viventi?) e non sono secondari gli interessi sia per possibili applicazioni in ambito medico che per le futuribili esplorazioni spaziali, strategie e tecnologie di sopravvivenza, peraltro già ampiamente immaginate nei racconti e nei film di fantascienza.
Ma in cosa consiste il letargo e quali animali vi ricorrono per superare le avversità climatiche?
Per rispondere a questa domanda sappiate che dobbiamo avventurarci in un denso ginepraio, dove eccezioni, sfumature e incredibili colpi di scena non mancheranno di sorprenderci.

Partiamo del termine “letargo”: occorre precisare che con esso vengono genericamente descritti fenomeni tra loro assai diversi. Sempre più spesso poi viene preferito il termine “ibernazione”, sia per una maggiore affinità con altre lingue (ad esempio l’inglese) che per uniformità descrittiva del fenomeno nelle varie classi di organismi viventi.
Per gli animali ectotermi* come anfibi, rettili, pesci, crostacei, chiocciole terrestri, l’ibernazione è uno stato di latenza invernale in cui le ridotte temperature ambientali portano a uno stato di torpore e a un progressivo rallentamento delle funzioni fisiologiche complessive dell’organismo.
Negli organismi endotermi** sono invece presenti comportamenti assai diversi: esistono animali che non vanno affatto in letargo come gli uccelli*** o alcuni mammiferi (ad esempio la volpe, il capriolo, il cinghiale ecc.) altri che vanno incontro a profonde modificazioni dell’attività biologica rallentando bruscamente le pulsazioni cardiache e i processi metabolici, con la conseguente e drastica riduzione della temperatura corporea che scende di 20 e più gradi centigradi, mantenendo l’animale in uno stato di “animazione sospesa”. Altri entrano in uno stato di sonno prolungato ma senza riduzioni significative di temperatura corporea, dal quale possono occasionalmente svegliarsi (es. tasso e orso), altri ancora, come lo scoiattolo rosso, si limitano a ridurre l’attività invernale trascorrendo gran parte dell’inverno in rifugi dai quali escono occasionalmente per la ricerca di cibo, talvolta accumulato in “dispense” dislocate nelle vicinanze della tana.
L’ibernazione profonda è un meccanismo ereditario che sopravviene in determinate condizioni ambientali. La temperatura interna di un mammifero in questo stato non dipende da quella esterna, come avviene negli animali a sangue freddo, ma si stabilizza intorno a una media di 4° C (nello scoiattolo artico arriva addirittura a -2,9°C!).
Una ulteriore curiosità dell’ibernazione profonda è la presenza di brevi momenti caratterizzati da bruschi rialzi della temperatura corporea fino ai valori tipici della fisiologia dell’animale in questione (fig.3). Il motivo secondo il quale alcuni ibernanti possano manifestare queste periodiche alterazioni termiche non è ancora del tutto chiaro. Una delle teorie più accreditate ipotizza che ciò accada per consentire all’animale di “dormire” per davvero. L’ibernazione, infatti, non è un sonno profondo come spesso erroneamente ritenuto, ma una vera e propria “animazione sospesa”, dove anche i processi fisiologici del sonno sono assenti. Altre ipotesi suggeriscono invece la riattivazione del sistema immunitario o il recupero di fonti energetiche accumulate nei tessuti grassi.

Anche molti invertebrati ricorrono all’ibernazione per superare un periodo ostile: è il caso di molti insetti come le coccinelle, le api, le vespe, i calabroni e alcune specie di farfalle che trascorrono l’inverno all’interno di cavità o nel sottosuolo. Una farfalla, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, è protagonista di grandi viaggi migratori ma può anche attuare l’ibernazione invernale: si tratta della Vanessa atalanta che, se non migra verso climi più miti, trova rifugio in cavità rocciose o nel fitto della vegetazione (come ad esempio un bel cespuglio di edera), trascorrendo i mesi più freddi in uno stato di animazione sospesa.
Anche i molluschi terrestri possono andare in letargo: le chiocciole che, con l'arrivo dei primi freddi, si rintanano all’interno dei loro gusci chiudendo “la porta”. Quest’animali creano una struttura chiamata “epifragma”, che consente loro di isolarsi dal mondo esterno proteggendosi così dal freddo o da una siccità prolungata. In alcune specie, tra cui anche la comune Helix pomatia, vengono prodotti due differenti tipologie di epifragmi: uno composto da muco solidificato e utilizzato per ibernazioni di breve durata ed uno più robusto, composto in prevalenza da carbonato di calcio, utilizzato per il periodo più lungo di ibernazione invernale. L’epifragma presenta sempre una piccola fessura per consentire un ricambio d'aria costante e protegge l’animale anche da eventuali predatori presenti nel sottosuolo.

Ma è nel mondo microscopico che accadono le cose più strabilianti: piccoli crostacei come le pulci d’acqua (Dafnia sp.) o organismi ancora più piccoli come i tardigradi, per arrivare fino ai protozoi (organismi unicellulari) producono forme di resistenza come le “cisti” o le “uova d’inverno”, strutture in grado di resistere a periodi ostili (sia invernali che estivi) nelle quali lo scambio di liquidi e gas con l’ambiente esterno è pressoché nullo.
Queste forme di resistenza permettono agli organismi viventi di conservarsi per lungo tempo nel terreno anche dopo che l’acqua stagnante in cui vivevano si è completamente congelata o è andata incontro a una completa evaporazione. Con il ritorno delle condizioni ottimali (temperature miti di fine inverno o nuove precipitazioni tardo-estive), la vita in uno stagno può così rifiorire rigenerando in brevissimo tempo un ambiente ricco di vita.
Fenomeni simili si verificano anche in piccoli vegetali acquatici, come le lenticchie d’acqua (Lemna sp.) o l’Utricularia, o terrestri ma sempre legati ad ambienti umidi, come la Pingucola (pianta carnivora alpina), in grado anch’essa di dare origine a forme di resistenza chiamate “ibernacoli”.

Roberto Ostellino

Saluzzo, 09 gennaio 2018


*ectotermi: animali in cui la temperatura corporea dipende esclusivamente da fonti di calore presenti nell’ambiente.
**endotermi: animali che presentano una temperatura corporea costante compresa tra 35° e 42° C e regolata da complessi meccanismi fisiologici. Tipici endotermi sono i mammiferi e gli uccelli, spesso definiti anche come “omeotermi”.
*** esistono in realtà due eccezioni nel mondo degli uccelli: il Phalaenoptilus nuttallii, un cugino nord-americano del succiacapre che in inverno si rifugia in cavita rocciose dove iberna fino all’inizio della primavera e l’australiano Podargo strigoide (Podargus strigoides) in grado di ibernarsi per alcuni mesi durante la stagione fredda.



Fonti:
FISIOLOGIA DEGLI ANIMALI – regolazione, diversità, adattamento – Alessandro Poli – Zanichelli Editore
LETARGO E VITA LATENTE – art 17 – G. Sini – Maggio 2009
TRECCANI - http://www.treccani.it/enciclopedia/letargo/
LA VITA AL RITMO DELLE STAGIONI – collana Natura d’Italia – De Agostini editore
ATLANTE DEI MICRORGANISMI ACQUATICI – la vita in una goccia d’acqua
Heinz Streble e Dieter Krauter – Franco Muzzio Editore


NOTA SULLA PUBBLICAZIONE. Questa news è pubblicata a scopo di archivio, le informazioni riportate sono da considerarsi obsolete. Il testo potrebbe far riferimento ad immagini o allegati al momento non disponibili.