TMT 2015 – La musica del Monviso
Lasciate a lato le sorgenti del Po a Pian del Re, sul sentiero che si avvia alle vette son tutti massi grandi a sostenere i piedi di chi corre.
Scivolosi. Pietra serpente già per gli antichi, ofiolite.
Un attimo di disattenzione e sei a terra. Ma chi corre in quei luoghi ha grandi capacità, non conosce per nome le pietre ma sa di quali fidarsi e di quali meno.
Si mostra lì, in tutto il suo splendore, la grande famiglia delle ofioliti, serpentiniti, gabbri e prasiniti, le pietre del Monviso, partorite dal mare e spinte qui da forzi immani, a fare forma speciale di triangolo per inventare un immenso logo, di montagna, di vetta, immediato a tutti.
Un logo alto di valori.
Si va veloci col sole nato da poco negli occhi, ad accecare ma anche a rendere speciale, a condire di luce quanto già è particolare. Un tornantino, poi un altro. A ogni inversione di marcia la luce cambia e nette appaiono le figure e le sagome. Di Pian del Re che si allontana in fretta, della terra che cambia colore; per via delle erbe, ciascuna sulla sua specie di pietra e soltanto su quella. E per via delle pietre che, come i viventi, ciascuna ha volto suo, colore e forma particolare.
Il verde dei pirosseni e del serpentino, il bianco dell’albite e del quarzo, il rosso dei granati.
Un Tricolore.
Non le guarda mai nessuno le pietre, ed è un peccato, perché è su loro che poggia il mondo.
Il Monviso intanto si nasconde.
Una piccola gola ripida in compagnia d’un ruscello, su terreno fine e sciolto, lavorato dall’acqua e dal ghiaccio che presso il rio sono sovrani, fa intanto ala a chi arriva.
Poi il lampo, la sorpresa, da frenare pure le gambe di chi corre, perché non si può distogliere lo sguardo da tanto mondo: il Monviso e il lago Fiorenza sono lì. Apparsi. Ti aspettano. Splendidi e imponenti.
Acqua crespata e rocce primordiali, inutilmente toccate e lavorate dal vento e dai geli per lisciarle, carezzarle un po’.
Il mondo veloce e di fatica del TMT. Che non leviga le pietre e va, dritto e essenziale.
Oltre il lago. Si risale, le rocce sono scomparse, quasi tutta terra, sembra che il suolo, prossimo ormai al Sovrano, si rilassi nella suo ombra e riposi un po’.
È un attimo.
Si cambia versante e immediate le pareti riprendono la scena. Soltanto per loro c’è spazio.
Il Monviso ormai lo puoi toccare.
Tutto a strati, opera d’arte d’un pasticcere maestro di gran torta.
In basso micascisti e quarziti che sanno di sabbia marina, poi prasiniti, prima in lastre e poi massicce a conservare le forme dolci dei cuscini del fondo del mare, i pillow, delle lave basaltiche raffreddate nel profondo degli oceani, ancora i gabbri a fare cornice, e infine le serpentine a dare luce a quelle pareti, per muoverle nello spazio, a prendere vita di scultura, vita d’arte, cioè di meraviglia.
Sono sculture le rocce e le guglie del Monviso.
Se le guardi, ciascuna ricorda qualcosa che conosci, che hai già visto, un oggetto, un animale, una persona.
Non sono pietre, sono statue.
Tutte diverse, per dimensioni e colori, come si conviene a un popolo di tante anime unite in un unico Regno, il triangolo emerso dal mare del Grande Re di Pietra.
Lo stesso miracolo del Bosco dell’Alevè, dove ogni ceppo tramanda nel tempo racconti e volti di cembri, si ripete qui, di fronte agli atleti che vanno verso il cielo; che non vedono le rughe della montagna e la sua storia di roccia che racconta di dove viene la terra, ma ne colgono le vibrazioni profonde, quelle che li hanno richiamati; e senza saperlo, quegli atleti, son parte della storia, ne sono soggetto e assieme cornice umana ed essenziale.
Nella magia speciale del TMT.
Alla base delle rocce immensi cumuli grigio chiari. Belli come un gioco, da sembrare finti, eppur veri come un gioco di bambini.
Come mucchi di risulta scavati da grandi insetti. Ovunque, regolari, simmetrici e perfetti. Come la sabbia d’una clessidra gigante chiamata a segnare in quel posto l’età della terra, del Monviso e del tempo che va.
Grigio azzurro chiaro quella sabbia, potresti dire, ma non può bastare. Perché non è prevista nella tavolozza dei colori quella tinta: perché il Monviso è scultore non pittore.
Il grigio azzurro chiaro del lago Chiaretto. Viene forse dalla smaragdite l’incredibile colore?
O da quale altra roccia o minerale o diverso miracolo della terra del Monviso?
Meglio dire soltanto grigio azzurro chiaro del Chiaretto, inventato dal Monviso e istante per istante affidato alle acque che scendono attraverso le colline sollevate dagli insetti della pietra; o a quelle dei ghiacciai, che anche loro come una grande creatura scavano ed erodono, a preparare e spostare il colore dalle rocce al lago.
Dal Chiaretto le rocce del Viso le hai lì.
Splendenti nel sole del mattino e ammantate di nebbia verso sera e farle più misteriose, a proporre sogni per il riposo che verrà.
Sogni disturbati appena dalle pietre che lentamente e di continuo e in eterno muovono a fare pure loro qualcosa di speciale, di musicale, in coro con il vento e l’eco lontana di qualche acqua che corre.
La quarzite dà note di metallo, la rara giada è più cristallina, come vetro fine o argento; la prasinite invece è quasi muta, ma raccoglie e unisce gli altri suoni a farli musica.
Nessuno può sentire il canto delle rocce, non permesso agli umani, ma la musica del Monviso si; è quella che mette ali ai piedi di chi corre e pure ai suoi sogni.
Anche se non possono sentire e vedere gli atleti del TMT.
Perché van di fretta, perché a tratti il sole li abbacina, perché hanno sul volto la mano dell’aria di quei luoghi, troppo ruvida per indurre a pensare e carezzare il mondo con gli occhi. Il cuore però c’è, il cuore che batte assieme a quella terra.
È per quella terra, magari senza saperlo, che quegli uomini sono lì.
Se si voltassero, poco prima del Colle di Viso, la vedrebbero tutta ai loro piedi, non perché ne siano signori, ma perché la terra amata risponde con affetto ai figli che le vogliono bene e porge loro grandi doni.
Come il poter correre il TMT.
Come quell’altra che apparirà di lì a poco, terra, dalla Valle del Varaita, a dire che si tratta dello stesso suolo, della stessa anima.
L’anima del TMT che va a tempi umani nel tempo e nei tempi della terra.
Per meravigliarsi.
(r. ribetto)
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