News del 24/01/2018

La Pietra Verde del Monviso - di Diego Priolo

Ospitiamo sul sito un contributo di Diego Priolo dedicato alla Pietra Verde del Monviso e pubblicato sul ""Bollettino della Società Storica Pinerolese - Quarta serie - Anno XXXIV – Pinerolo 2017""

La “Pietra Verde” del Monviso è in questi ultimi anni uno degli inviti più stimolanti alla riscoperta della storia di questo suggestivo monte, soprattutto in relazione alle sue peculiarità litiche che - a partire dal periodo neolitico, VI millennio a.C., con successive conferme in epoche storiche più recenti - hanno ricevuto attenzioni e riconoscimenti di grande importanza in termini di utilizzo e di funzionalità anche in luoghi molto, molto lontani dal loro palcoscenico di partenza.
Una pagina, questa, che - sebbene già ampiamente segnalata da studiosi attraverso precise e mirate ricerche in merito, diffuse poi da pubblicazioni, relazioni in convegni e mostre - potrebbe ancora comunicare qualche significativa “nuova” informazione sul passato preistorico coinvolto. Dalla documentazione acquisita, le aree più toccate in questa vicenda furono e sono quelle della Val Po, della Val Pellice, della Val Varaita ed in particolar modo della Val Lenta (territorio di Oncino), che si apre sulla destra orografica della Val Po, alcuni chilometri prima di arrivare a Crissolo. Parlando proprio con persone delle frazioni “oncinesi”, ubicate più in quota ed orientate verso l’Alpetto, come le Meire Dacant, non stupisce il mantenimento di attenzione nei confronti di questo soggetto litico con forme di rispetto nel caso di prosecuzione di un suo utilizzo.
Una consapevolezza concretizzatasi negli amministratori comunali, vedasi Piero Abburà, sindaco in anni di riscoperta, nei ricercatori ed autori di testi sulla preistoria di questa suggestiva valle - come prospetta un lavoro di Giovanni Allisio - e in non pochi collaboratori, uomini e donne, consapevoli di questa peculiarità territoriale. Un contributo divulgativo non indifferente sulla Pietra Verde del Monviso fu offerto in ambito pinerolese dal Cesmap (Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica) attraverso una mostra specifica che si tenne a Pinerolo nel 2013 nell’ex chiesa di Sant’Agostino e che fu incentrata in buona parte sulle ricerche dello studioso francese Pierre Pétrequin, che censì e scoprì numerosi siti della “pietra verde” in altura.
Proprio in questa prospettiva divulgativa, due studiosi dell’associazione, Dario Seglie e Daniele Ormezzano, ampliarono la comunicazione in merito, nell’intervista fatta a loro da Maurizio Menicucci, giornalista della RAI, per la trasmissione televisiva Leonardo ed effettuata proprio in Val Lenta.
Come si è anticipato, un apporto molto rilevante in termini di indagine/ricerca e di considerazione su questo soggetto fu ed è - dal momento che esso continua - il lavoro dell’archeologo-etnologo francese Pierre Pétrequin dell’Università di Besançon e del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica, con non poche consistenti ricerche specifiche condotte nel territorio del Viso. Proprio in queste attività e nel loro riporto documentario sotto forma di pubblicazioni, un grosso contributo collaborativo fu e continua ad essere quello offerto dall’impegno del pinerolese Mauro Cinquetti, attento ricercatore di testimonianze preistoriche e minerarie. In modo specifico in relazione alla “pietra verde “, egli ha evidenziato concretamente, lavorando soggetti di questa materia litica, come essa poté essere trattata ed utilizzata e questo soprattutto in relazione alle sue caratteristiche di forte consistenza e di durezza.
Peculiarità quest’ultime che si concretizzarono nella creazione di forti e “taglienti” asce e di oggetti litici “particolarmente” curati, che vennero impiegati in ambito religioso o di culto in senso lato o in altri utilizzi, presupponenti un adeguamento della pietra non indifferente. Proprio queste specificità di utilizzo – come si segnalerà in seguito – sono comprovate da significative testimonianze in merito, presenti in luoghi anche molto lontani da questa area alpina di partenza.
Ma che cosa caratterizzava effettivamente questo soggetto litico così rilevante?
Se una colorazione verde, con non poche varianti cromatiche può essere una dellecaratteristiche di fondo più visibili, importante era ed è la “giadeitite”, la roccia contenente la “giadeite”, mentre – segnala Cinquetti – le omfacititi e le eclogiti, molto più abbondanti in natura, furono quelle più utilizzate come strumenti di lavoro. A questo proposito, dall’analisi di asce conservate nei musei, sembra che verso il nord Europa salissero le asce di colore verde chiaro mentre, verso il sud e l’est, quelle di colore più scuro. La presenza consistente di questo soggetto litico in zona Monviso dovette quindi avere un peso “incredibile” nel patrimonio conoscitivo del tempo. Lo sostengono non solo presenze di forestieri venuti in zona a procurarsene - e questo partendo da epoche ben lontane - ma, come già segnalato, anche il comprovato arrivo della pietra in zone per certi versi inimmaginabili in quei millenni preistorici.
A questo proposito, sono state trovate nei tumuli francesi grandi quantità di asce cerimoniali di grandi dimensioni, superiori anche ai 30 centimetri. L’ascia più lunga finora trovata è in Germania e misura 44 centimetri.
Una significativa testimonianza in merito a questa antica diffusione - già segnalata dallo scrivente sulla pagina culturale del settimanale “l’Eco del Chisone” del 23 agosto 2017 - è quella che si trova nella sezione archeologica del Museo Nazionale d’Irlanda a Dublino. Qui, tra i soggetti litici esposti, si trovano delle asce che l’analisi del progetto JADE (originatosi a seguito di queste scoperte e sostenuto dall’ Agenzia Nazionale delle Ricerche Scientifiche di Francia tra il 2006 e il 2010 ) ha confermato – riporta un cartellone a lato – di provenienza dalle Alpi settentrionali italiane. Sempre l’apparato informativo comunica inoltre che il fatto che nessuna di loro evidenzi dei segni di uso - dato che il lavoro richiesto per produrre tali eleganti “lame” fu di “specializzazione” - fa supporre che le asce di giadeitite ebbero – almeno in relazione a questa “terra”- una significativa funzione cerimoniale o simbolica. Proprio questa finalità di utilizzo in ambito cerimoniale potrebbe essere comprovata anche dal fatto che queste lame sono caratterizzate a volte da una ”lucidatura” a specchio. A sottolineare la certa provenienza di questi oggetti litici dal Monviso, provvede in questo museo una foto di Pétrequin relativa a questo monte e qui esposta ma con un riporto dell’oronimo con una lettera in più. Dalle ricerche degli studiosi, e da quanto segnalato in non pochi siti, questa pietra del Monviso avrebbe raggiunto oltre l’Irlanda, la Gran Bretagna e la Danimarca anche i paesi scandinavi, la Bulgaria, la Grecia, la Spagna. Un raggiungimento quasi inimmaginabile ai nostri occhi considerando l’epoca degli eventi, ma la cui certezza induce ancora una volta a riconsiderare la preistoria non solo come antecedente la grande storia, ma come una serie di lunghe, lunghe pagine di vissuto collettivo a volte non ancora del tutto lette o rilette in modo adeguato.
Sempre in termini di documentazione informativa, meritevole di altrettanta attenzione è pure la proposta fatta nel 1999 da R. Compagnoni, G. Peyronel a Franco Salusso e Franco Manavella di localizzare i giacimenti primari di giadeite nelle Pietre Verdi della Val Po e della Val Varaita.
Circa due anni dopo la ricezione dell’avviso, i due ricercatori ne individuarono un giacimento primario sulla pendice N. di Punta Rasciassa, nel territorio di Oncino. La consapevolezza del “valore” di questi soggetti litici non si è certamente spenta e prosegue nelle loro attente ricerche ed analisi delle nuove testimonianze litiche trovate. Quest’acquisizione informativa è tenuta in considerazione anche da Pétrequin e dai suoi collaboratori. Due lavori pubblicati recentemente - contemplanti anche la giadeite, le sue peculiarità “minerarie” e la sua distribuzione sull’arco alpino con riporti di quanto trovato dai due ricercatori – sono Minerali delle Alpi Marittime e Cozie – provincia di Cuneo- a cura di Gian Carlo Piccoli pubblicato nel 2002 e il volume miscellaneo Minerali del Piemonte e della valle d’Aosta (Gian Carlo Piccoli editore, 2007). In relazione al territorio del Monte Viso, meritevoli di segnalazione sono altresì gli affioramenti indicati da Manavella e Salusso ed oggetto di grande attenzione da parte di R. Compagnoni, come evidenzia una pubblicazione sulla giadeite e sulle meta-ofioliti del Monviso, redatta dal docente e dai collaboratori F. Rolfo, F. Manavella e F. Salusso. Ampliando il territorio “indagato ed indagabile”, la complessità dell’argomento, con spiegazioni delle varie peculiarità di questi soggetti litici, può essere colta attraverso un’attenta lettura del seguente testo:
“JADE Objets-signes et interprétations sociales des jades alpins dans l’Europe néolithique.” Lea Cahiers de la MSHE Ledoux. Université de Franche-Comté.
La ricerca, in ogni caso, non si è esaurita e - come segnala Cinquetti – continuerà con confronti ed analisi di campioni litici con reperti archeologici ospitati ed esposti in musei italiani, come nel caso delle ofioliti, pietre uguali o molto simili a quelle del Monviso ma meno belle e con troppe fratture - non utilizzabili pertanto per la costruzione di strumenti o asce cerimoniali - presenti sul monte Beigua, oltre che sullo spartiacque appenninico ligure-padano.


NOTA SULLA PUBBLICAZIONE. Questa news è pubblicata a scopo di archivio, le informazioni riportate sono da considerarsi obsolete. Il testo potrebbe far riferimento ad immagini o allegati al momento non disponibili.