News del 10/07/2018

1° tappa di Officina Monviso: in 111 in Valle Maira

Consueto, come ogni primo mercoledì di luglio, il 4 luglio è ripartita l'avventura di Officina Monviso, con la prima tappa in Valle Maira, sul sentiero degli acciugai.
111 i partecipanti alla prima escursione, di cui condividiamo il racconto di Pierfranco, il ""maestro"", uno dei volontari e delle anime di questo progetto di condivisione e integrazione, che permette a tutti di godere delle bellezza delle nostre montagne

""Finalmente la Valle Maira! Che ti attanaglia subito, appena fuori Dronero, col suo fascino selvaggio ed incontaminato, con le sue atmosfere che forse sono di ieri, ma che, per nostra fortuna continuano ancora oggi.
Terra di migranti la Valle Maira. Fino a non molti decenni fa gli anziani continuavano a raccontare dei tanti valligiani rimasti sotto le slavine dell’erta mulattiera del colle del Sautron, tentando di passare in Francia per trovare un lavoro, un lavoro qualsiasi pur di poter sfamare la famiglia.
Terra di alpini la Valle Maira. Mandati a morire prima sull’altipiano della Bainsizza e sul Rombon, poi un quarto di secolo dopo nelle steppe di Russia.
Terra di partigiani la Valle Maira. Con i GL di Giorgio (Bocca) e Detto sul versante destro orografico e con i garibaldini di Steve e Nini su quello sinistro, che insieme dettero vita per quasi tre mesi, nell’estate del ’44, alla Libera Repubblica della Valle Maira.
Terra di suggestioni antiche la Valle Maira che aumentano quando svolti a sinistra e ti inerpichi per la stretta valle laterale su su fino a Celle, a Seles per dirla in occitano.
In questo recondito, minuscolo paesino trovi il museo degli acciugai. Antico e faticoso mestiere itinerante quello degli acciugai, inventato dagli avi per non morire di fame. Mestiere che si è diffuso solo qui nel vallone di Celle e in quelli immediatamente adiacenti verso il basso di Moschieres e della Margherita. Sembrerà strano ma gli acciugai venivano e vengono da questi soli tre valloni sul versante destro della valle; solo qualche artigiano collegato stava altrove: ad Albaretto quelli che costruivano i barilotti, a Tetti di Dronero quelli che assemblavano i carretti. E allora se nel salire con la macchina chiudo gli occhi, come faccio a non tornare al mitico nonno Rovera (‘l loup), tra i primi grossisti, citato persino da Nico Orengo. Come faccio a non tornare ai parenti e agli amici acciugai che tra un bicchiere di vino e l’altro illustravano a me profano la differenza tra le favolose acciughe di Spagna (meglio, del mar Cantabrico), con tanta carne e ben mature, da gustarsi in purezza, contaminate al massimo da un filo d’olio e quelle siciliane, che sì va bene … ma … meglio aggiungervi ‘l bagnet verd …
Appena ti fermi ritorni al presente, rappresentato dal viso solare e incorniciato da un’accattivante barba bianca, di Augusto, un bergamasco trapiantato da anni a Celle. Augusto è a disposizione per tutto. Si fa in quattro, anzi in otto; porta i pulmini al parcheggio, fa da guida, da cicerone perché sa tutto dei luoghi, delle case, degli abitanti. Tutto quanto gli chiedi te lo spiega, per di più lo fa sprizzando gioiosità da tutti i pori, il che mette ancora più a loro agio i nostri utenti.
I Servizi uno dopo l’altro arrivano: l’atmosfera gioiosa contamina tutti e la contentezza si vede. Ma … dobbiamo ancora partire, si aggiungono anche due Forestali che si mettono subito a disposizione, immediatamente ammirati dai nostri ragazzi.
Claudio comincia a distribuire la bandane, quest’anno blu, poi si interrompe perché arriva a salutarci il Sindaco, Antonio Garino, che all’uopo ha addirittura interrotto la seduta di Giunta. Per ringraziarlo l’unica cosa che possiamo fare, con i nostri potenti mezzi, è fare omaggio anche a lui di una delle nostre bandane.
Si continua con i baci e gli abbracci perché con molti non ci si vede da parecchio tempo. Qualcuno comincia da entrare nel museo e le squisite signore addette, ovviamente volontarie, illustrano subito i vari reperti, cosa che faranno almeno altre decine di volte.
Poi Mario raccoglie le fila e riesce a farci partire. Il sentiero, degli acciugai ca va sans dire, è proprio un sentiero da percorrere in fila indiana con un lungo serpentone, faticoso ma nemmeno tanto: nessuno si lamenta.
Appena giunti a Castellaro, la borgata superiore, è uno spandersi spontaneo per osservare il Castello, le molte case ristrutturate, varie sculture in legno tra cui l’orso. Poi davanti alla chiesa le rituali foto di gruppo più volte ripetute per accontentare tutti.
Nella discesa, forse perché un po’ meno faticosa, sono tutti più attenti ad osservare il bosco, le radure, i fiori di tutti i tipi e le mucche, che per molti dei nostri sono una cosa rara.
Più o meno all’ora prevista torniamo a borgata Chiesa da dove eravamo partiti quasi tre ore prima. Per il pranzo è giocoforza spargersi tra il campo giochi e i dintorni del museo della Chiesa; d’altronde siamo in tanti: Domenico ne ha contati 111, molti di più dei residenti del luogo.
Rifocillato il corpo, qualcuno comincia già a pensare al ritorno, ma alcune voci bloccano tutti. Bisogna assolutamente entrare in Chiesa perché c’è qualcosa di molto prezioso da vedere. E infatti, appena oltrepassata la soglia, non si può non essere colpiti dall’abbacinante bellezza del polittico di Hans Clemer posto al fondo dell’abside. Dai suoi colori, dai volti, dai tratti, dalle pieghe dei vestiti dei suoi Santi e della sua Madonna con Bambino. Non sono importanti le spiegazioni, i dettagli tecnici e storici, che pure ci vogliono. Così come non è importante sapere come mai un pittore così eccelso sia capitato tra questi monti. L’importante è ammirare la bellezza di quest’opera d’arte collegandola con la bellezza di questi luoghi all’apparenza così remoti, eppur così vicini. Senza dimenticare che un’opera di tal fatta ben poche città se la possono permettere. A Torino (per dirne una) per trovarne di eguali bisogna entrare alla Galleria Sabauda e … pagare il biglietto. Qui è tutto gratis, com’è gratis la bellezza del luogo.
Giunge l’ora di partire: ti viene da indugiare, da fare ancora un giro tanto per imprimere tutto nella memoria, ma il tempo stringe.
Salgo in macchina, davanti a me sul pulmino con Elena del Punto Rete Tabasso ci sono anche i migranti ospitati in due strutture gestite dalla cooperativa Altrimodi a Torino. Accanto a me è seduto l’amico sudanese Ahmed, col volto felice perché ha appena ottenuto la “protezione internazionale” ed un incarico di lavoro, abbastanza stabile. Quante volte ci ha raccontato le dolorosissime vicissitudini che l’hanno costretto ad arrivare fin qui per non morire di fame? Allora mi vien da pensare che i racconti dei vecchi valligiani che parlavano di morte per neve sul Sautron non sono di cento anni fa. Sono di oggi, di questo inverno, basta cambiare il nome della valle e del colle; Val di Susa, colle della Scala.
“ Sei ancora quello di sempre, uomo del mio tempo”.
Purtroppo!
Grazie a tutti, scusate le digressioni.

Maestro""


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