News del 27/02/2018

Monviso: la montagna simbolo si racconta - Guide neolitiche su percorsi di antiche globalizzazioni

Proponiamo un articolo di Sergio Beccio, pubblicato su Nòvas d'Occitània, le news del portale Chambra d'OC, in italiano e occitano

[Italiano]
Il Monviso è una montagna simbolo, un riferimento senza tempo, visibile da ogni luogo del territorio piemontese, e non solo; probabilmente creduto una divinità per questo suo innalzarsi verso il cielo, punto di contatto tra la terra e l’infinito, metafora dell’ignoto, divinità visibile a cui chiedere protezione, totem per i presagi e le domande esistenziali che l’Umanità di ogni tempo si è posta sul vivere, sul conoscere e sul fine ultimo della vita. Il volume dell’Istituto Superiore di Cultura Alpina di Ostana “Pastori di Montagne Storia delle Guide Alpine del Monviso” racconta la storia degli uomini che, nel tempo, a partire dalla preistoria fino ai giorni nostri, hanno accompagnato le genti attraverso i difficili territori alpini. Un volume bilingue (italiano e inglese) strumento di lavoro e di ricerca per turisti, operatori e ricercatori riguardante i territori delle valli del Monviso.

Il Monviso come suggeriscono Roberto Mantovani in “Monviso: icona della montagna piemontese” ed Enrico Camanni nel suo ultimo volume “La storia delle Alpi” è un sistema montuoso che oggi apprezziamo grazie ai fenomeni erosivi di sottrazione di materiale roccioso dalla piramide geologicamente nata e risalita dalle profondità marine dallo scontro delle placche continentali euroasiatica e africana. Un fenomeno che, iniziato 160 milioni di anni fa, è in continuo, impercettibile mutamento, e che ha delineato l’attuale inconfondibile skiline. Il fondo roccioso di quell’antico mare si trasformò nelle rocce metamorfiche che oggi costituiscono la vetta del Monviso composte da calcescisti e pietre verdi (ofioliti) denominazione data dal geologo Bartolomeo Gastaldi compagno di studi di Quintino Sella durante i rilevamenti geologici degli anni 1874-1875.

Contrariamente a quanto si è sempre creduto, gli ultimi studi su questi territori stanno tratteggiando una storia ben più complessa e articolata di quanto creduto fino ad ora: le Alpi già nel quinto e quarto millennio prima di Cristo erano percorse da popolazioni che hanno lavorato su questi territori alpini in era Neolitica. Proprio in questo periodo di grande trasformazione della società (da una economia della caccia e della raccolta di prodotti spontanei ad un’economia agricola di coltivazione ed allevamento stanziale) nascono attrezzi ed utensili che permettono trasformazioni sensibili dell’ambiente con la conquista di terreni utili alle coltivazioni, agli insediamenti stanziali e al pascolo con l’abbattimento dei boschi planiziali del territorio.

“La Preistoria della valle Po, fino a pochi anni fa era documentata da reperti dall’Età del Ferro, scoperti a Crissolo e incisioni rupestri dell’Età del Bronzo visibili sulle alture di Paesana. Dal 2003 Oncino può esibire sul suo territorio reperti ancora più antichi, riguardanti cave di materiale litico utilizzate dal 5200 a.C. al 4000 a.C. con cui sono state realizzate asce e amuleti scoperti in molti siti archeologici europei, fino a oltre 3000 km di distanza. Attorno alle cave poste dai 1500 ai 2600 m di altitudine esistono gli scarti che gli uomini dell’epoca lasciarono sul terreno per sbozzare manufatti di giadeidite ed eclogite. Al momento queste cave preistoriche di Oncino costituiscono a tutti gli effetti un sito archeologico che non ha equivalenti in tutto l’arco alpino: una emergenza storica e scientifica unica ed irripetibile capace, se ben valorizzata, di cambiare il destino culturale-turistico di un territorio che a volte dimenticato è denso di significativi gioielli storici, culturali, naturalistici”*(1).

Altro sito di importanza fondamentale per i ritrovamenti attestanti la antica presenza umana sul territorio alpino è quello di Balm’ Chanto (Stanziamento stagionale di pastori cacciatori nei pressi di Roure in val Chisone) scoperto nel 1979 da Franco Bronzat, ricercatore del Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica (CeSMAP). La località fu successivamente studiata, con una serie di sondaggi dal CeSMAP in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Piemonte e con la supervisione di Dario Seglie, Piero Ricchiardi e Renato Nisbet.*(2)

Stupisce la quota a cui si ritrovano i reperti di Oncino e dell’Alta Valle Po, ma non sorprende la qualità dei manufatti se si pensa alle opere ritrovate nella grotta di Chauvet*(3) nell’altopiano dell’Ardèche datate 37.000 anni fa: opere di moderna, ineguagliabile bellezza ed immediatezza realizzate da antichi artisti capaci di rendere in modo modernissimo (senza fermi fotografici) animali e momenti di vita fondamentali per la loro sopravvivenza ma anche documenti densi di capacità artistiche assolute e impensate.

Fu il mineralogista francese Alexis Damour che nel 1885 ipotizzò che il luogo d’origine delle asce levigate in giada fosse proprio il Monviso; questa affermazione verrà confermata da Secondo Franchi nel 1901, mentre a Dino Delcaro vengono attribuiti, nel 1996, i primi ritrovamenti di blocchi di giadeidite nell’ambito del fiume Po. Fondamentale è la scoperta di due geologi dell’Università di Torino, Franco Rolfo e Roberto Compagnoni, che nel 2003 localizzano sulla Punta Rasciassa (comune di Oncino), a circa 2400 m di quota, il primo giacimento primario (cioè in sede non fluviale) di giadeidite delle Alpi*(4).

Gli studi di ricercatori del CNRS francese (Progetto JADE del 2006, a cura dell’Agence Nationale de la Recherche e del la Maison des Sciences de l’Homme et de l’Environnement - Université de Franche-Comté e della Soprintendenza Archeologica del Piemonte*(5)) sul gruppo montuoso del Monviso guidati dall’archeologo Pierre Pétrequin individuano i territori compresi nell’alta valle Po, tra la vetta della Rasciassa fino al Pian del Re (comune di Crissolo), dove esistono giacimenti di pietra verde (giadeidite, omfacite, eclogite) che, in era neolitica, veniva lavorata attraverso un’estrazione caratterizzata dal surriscaldamento della roccia e successivo repentino raffreddamento con neve o acqua determinando, attraverso un forte shock termico, le rotture che permettevano la disgregazione del nucleo roccioso in pezzature di dimensioni ridotte, rendendole trasportabili e lavorabili per costruire punte di frecce, monili, e utensili quali raschiatoi, coltelli e asce di diversa dimensione fino alle asce rituali di notevole grandezza.

I materiali lavorati, caratterizzati da elevatissima durezza e consistenza, hanno permesso la costruzione di asce affilate e levigate di non comune bellezza attraverso lunghe lavorazioni, prima di sbozzatura e successivamente di accurata levigatura.

La straordinarietà delle scoperte dei ricercatori sta nel fatto che sono stati individuati molti luoghi nell’area del Monviso con il rinvenimento di attrezzi utili alla sbozzatura delle asce che intraprendevano successivamente un lungo e per noi misterioso viaggio, probabilmente della durata di anni, per raggiungere, secondo quando sostengono gli studiosi, l’intera Europa, sconosciuta come continente ma incredibilmente collegata da infinite vie che hanno condotto questi manufatti per migliaia di chilometri dalla Spagna al Portogallo, dall’Inghilterra alla Polonia, dall’Ungheria alla Grecia.

Queste asce rituali dovevano avere un valore inestimabile per l’epoca, erano simboli di potere che si appropriavano di questo valore per la bellezza e la lavorazione assolutamente unica per il tempo e forse si rinnovava con questi oggetti un richiamo di carattere religioso proveniente dalla nostra montagna che agli occhi di quelle popolazioni neolitiche rappresentava un forte riferimento visivo e forse l’incarnazione di una divinità sempre presente, da cui decifrare presagi utili, allora, per sopravvivere a tempi sicuramente non facili.

Ma attraverso quali vie le asce del Monviso sono arrivate in Europa? Probabilmente attraverso i passi che ancora oggi conosciamo: sicuramente esistevano delle sconosciute Guide Alpine, non per scalare le vette ma per incontrare altri uomini, altre genti; uomini capaci di condurre carovane o gruppi di persone attraverso passaggi ardui per superare le Alpi che però non costituivano, già allora, una barriera invalicabile ma erano luogo di comunicazione per rapporti umani, commerci e attività che hanno favorito il Progresso in un’Europa ancora non nata.

*(1) Testo di Gianni Allisio.

*(2) Tratto da “La Pietra Verde del Monviso” – Centro Studi e Museo di Arte Preistorica (CeSMAP) – Museo Civico di Archeologia e Antropologia di Pinerolo.

*(3) Tratto dall’articolo di Daniela Fuganti - quotidiano La Stampa - con immagini annesse provenienti dagli archivi di Drac Rhône-Alpes – Ministère de la Culture et de la Communication. Ritrovamento effettuato da Jean Marie Chauvet, Eliette Brunel e Christian Hillaire nel dicembre 1994.

*(4) Tratto da un testo di Stefano Pollastri.

*(5) JADE, Grandes haches alpines du Néolithique européen Ve et IVe millénaires av. J-C. sous la direction de Pierre Pétrequin, Serge Cassen, Michel Errera, Lutz Klassen, Alison Sheridan et Anne-Marie Pétrequin.


[Occitano]
Lo Vísol es una montanha símbol, un ponch de referença sensa temp visible da tuchi lhi cants dal territòri piemontés e ren masque: cregua benlèu una divinitat per aquel siu se dreiçar vèrs lo cèl, ponch de contact entre la tèrra e l’infinit, metàfora dal desconoissut, divinitat visibla a la quala demandar proteccion, totem per lhi presagis e las demandas existencialas que l’Umanitat de tuchi lhi temps s’es pausaa sal viure, sal conóisser e sus la mira última de la vita. Lo volum de l’Institut Superior de Cultura Alpina d’Ostana “Pastori di Montagne Storia delle Guide Alpine del Monviso” còntia l’estòria de lhi òmes que dins lo temp, da la preistòria fins a nòstri jorns a acompanhat las gents a travèrs lhi abrupts territòris alpins. Un volum bilíngüe (italian e anglés) coma instrument de trabalh e de recèrcha per lhi toristas, lhi operators culturarls e lhi recerchaires regardant lhi territòris des valadas dal Vísol.

Lo Vísol, coma suggerisson Roberto Mantovani dins “Monviso: icona della montagna piemontese” e Enrico Camanni dins son darrier volum “La storia delle Alpi”, es un sistèma montuós qu’encuei apreciem gràcias ai fenomens erosius de sotraccion de material rochós da la piràmida geologicament naissua e remontaa da las profonditats marinas da la collision des placas continentalas euroasiàtica e africana.Un fenomen que, començat fai 160 d’ans, es en contun, imperceptibe, mudament e que n’a dessenhat l’actual, inconfondible, profil. Lo fons rochassut d’aquela antica mar s’es transformaa dins las ròchas metamòrficas qu’encuei constituïsson la cima dal Vísol, compausaas da calcescistes e peiras vèrdas (ofiolitas), denominacion donaa dal geòlog Bartolomeo Gastaldi, companh d’estudis de Quintino Sella durant lhi relevaments geològics de lhi ans 1874-1875.

Al contrari de çò que s’es sempre cregut, lhi darriers estudis sus aqueste territòri son en tren descriure un’estòria ben pus complèxa e articulaa de çò que cregut fins aüra: las Alps ental quint e quart millenni avant Crist eron percorruas da de populacions que an trabalhat sus aquesti territòris alpins dins l’Era Neolítica. Pròpi dins aquel períod de granda transformacion de la societat ( da un’economia de la chaça e de la culha e fruchs espontàneus a un’economia de cultivacion e d’enlevatge estancial) naisson d’aise e d’otís que permeton de transformacions sensiblas de l’ambient abo la conquista de terrens útils a las cultivacions, a lhi abitats sedentaris e a la pastura abo l’abatement di bòscs dins la plana.

La Preistòria de la val Pò fins a gaire d’ans fa era documentaa da de repèrts de l’Atge dal Fèrre, descubèrts a Criçòl, e da d’incisions rupèstras de l’Atge dal Brons visiblas sus las autors de Païsana. Dal 2003 Oncin pòl exibir sus son territòri de repèrts encara pu antics regardants de carrieras de material lític adobraas dal 5200 a.C. al 4000 a.C. abo las qualas son istaas realizaa d’àpias e d’amulets descubèrts en ben de sites arqueològics europèus fins a passa 3000 km de distança.A l’entorn des carrieras, situaas dai 1500 ai 2600 m d’autessa, existon d’escarts que lhi òmes de l’època an laissat per sòl per desgrossir de manuachs de giadeïta e d’eclogita. Al moment aquestas carrieras preistòricas d’Oncin constituïsson a tuchi lhi efècts un site arqueològic que a pas d’equivalents en tot l’arc alpin: un’emergença estòrica e scientífica única e irrepetibla capabla, se ben valorizaa, de chambiar lo destin cultural e torístic d’un territòri que, de bòts desmentiat, es plen de significatius joièls istòrics, culturals e naturalístics”*(1).

Un autre site d’importança fondamentala per lhi retrobaments que testimònion l’antica presença umana sal territòri alpin es aquel de Balm’ Chanto, (demora sasonala de pastres da pè de Rore, en val Cluson), descubèrt ental 1979 da Franco Bronzat, recerchaire dal Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica (CeSMAP). Lo luec es estat puei estudiat abo una seria de sondatge dal CeSMAP en collaboracion abo la Soprintendenza Archeologica del Piemonte e abo la supervision de Dario Seglie, Piero Ricchiardi e Renato Nisbet.*(2)

Estupís l’altituda a la quala se tròbon lhi repèrts d’Oncin e de l’auta val Pò, mas sorpren pas la qualitat di manufachs se un pensa a las òbras retrobaas dins la balma de Chauvet*(3) dins lo planòl de l’Ardècha dataas fai 37.000 ans: d’òbras de modèrna, inegalabla beltat e immediatessa realizaas da d’ancians artistas capables de rénder d’un biais ben modèrn (sensa d’images fotogràficas) de bèstias e de moments de vita fondamentals per lor sobrevivença, mas decò de documents plens de capacitats artísticas absolutas e impensaas.

Es estat lo mineralogista francés Alexis Damour qu’ental 1885 a ipotizat lo luec d’origina des àpias lisas en giada foguesse pròpi lo Vísol; aqueta afermacion venerè confermaa da Secondo Falchi ental 1901, dal temp que a Dino Delcaro ven atribuïts ental 1996 lhi premiers retrobaments de de blocs de giadeïta dins la zòna dal Pò. Fondamentala es la descubèrta de dui geòlogs de l’Universitat de Turin, Franco Rolfo e Roberto Compagnoni, qu’ental 2003 localizon sus la Poncha Raschassa (Comna de Oncin), a a pauc près 2400 m d’autessa, lo premier jaciment primari (o ben din un luec ren fluvial) de giadeïta dins las Alps*(4).

Lhi estudis di recerchaires dal CNRS francés ( Projèct JADE dal 2006 a cura de l’Agence Nationale de Recherche e de la Maison des Sciences de l’Homme et de l’Environnement - Université de Franche-Comté e de la Soprintendenza Archeologica del Piemonte*(5)) sal grop montuós dal Vísol guidats da l’arqueòlog Pierre Pétrequin localizon lhi territòris comprés dins l’auta val Pò, entre la cima de la Raschassa fins al Plan del Re (Comuna de Criçòl), ente existon de jaciments de peira vèrda (giadeïta, omfacita, eclogita). Aquela peira dins l’Era Neolítica venia trabalhaa a travèrs un’extraccion caracterizaa da l’eschaudament de la ròcha e dal successiu, subit, refreidament abo de neu o d’aiga en determinant, a travèrs un fòrt shok tèrmic, las roturas que permetion la desgregacion dal núcleu rochós en tòcs de pichòtas dimensions, en lhi rendent transportables e trabalhables per construïr de ponchas de flèchas, de monils e d’aisinas coma de rasclas, de cotèls e d’àpias de divèrsas dimensions fins a las àpias ritualas, de notabla grandessa.

Lhi materials trabalhats, caracterizats da un granda duressa e consistença, an permés la construccion d’àpias amolaas e lisaas d’una belessa ren comuna a travèrs de lònjas lavoracions, derant de desgrossiment e puei de soanhós lisatge.

L’extraordinarietat des descubèrtas di recerchaires demora ental fach que son istats identificats un baron de luecs dins la zòna dal Vísol abo lo retrobament d’aisinas útilas a desgrossir las àpias, que puei entreprenion un lòng e per nosautri misteriós viatge, lòng d’ans probablament, per rejónher, second çò que sostenon lhi estudiós, l’entiera Euròpa, desconoissua coma continent, mas incrediblament liaa da de chamins infinits que an menat aquilhi manufachs per de miliers de quilomètres da l’Espanha al Portugal, da l’Anglatèrra a la Polònia, da l’Ongueria a la Grècia.

Aquestas àpias ritualas devion aver una valor inestimabla per aquel temp, eron de símbols de poder que s’apropriavon d’aquela valor per la belessa e la lavoracion absolutament única per l’època e benlèu abo aquilhi objècts se renovava un apèl de caràcter religiós provenent da nòstra que a lhi uelhs d’aquelas populacions neolíticas representava una fòrta referença visiva e benlèu l’incarnacion d’una divinitat totjorn presenta da la quala decifrar de presagis útils per sobreviure a de temps seguraments pas fàcils.

Mas a travèrs quals chamins las àpias dal Vísol son arribaas en Eròpa? Benlèu a travèrs lhi pas qu’encara encuei conoissem: segurament existion de guida alpinas desconoissuas, ren per escalar la cimas, mas per encontrar d’autri òmes, d’autras gents; d’òmes capables de menar de carovanas o de grops de personas a travèrs de passatges abrupts per sobrar las Alps, mas que já alora constituïon pas una barriera insobrabla e eron un luecde comunicacon per lhi rapòrts umans, lhi comèrcis e las activitats que an favorit lo progrès dins un’Euròpa pas encara naissua.

*(1) Tèxte de Gianni Allisio.

*(2) Tirat da “La Pietra Verde del Monviso” – Centro Studi e Museo di Arte Preistorica (CeSMAP) – Museo Civico di Archeologia e Antropologia de Pineròl.

*(3) Tirat da l’article de Daniela Fuganti - quotidian La Stampa – abo d’images annèxasprovenentas da lhi archius de Drac Rhône-Alpes – Ministère de la Culture et de la Communication. Retrobament efectuat da Jean Marie Chauvet, Eliette Brunel e Christian Hillaire ental desembre dal 1994.

*(4) Tirat da un tèxte de Stefano Pollastri.

*(5) JADE, Grandes haches alpines du Néolithique européen Ve et IVe millénaires av. J-C. sous la direction de Pierre Pétrequin, Serge Cassen, Michel Errera, Lutz Klassen, Alison Sheridan et Anne-Marie Pétrequin.


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