News del 23/05/2017

Changing climate, changing Parks - n. 5

Seguendo una lezione di Luca Mercalli

5^ pillola: Uno sguardo al futuro (ovvero: potrà mai la salute del pianeta contare almeno quanto quella delle banche?)

Sulla scorta dei dati forniti dal già citato IPCC (l’agenzia scientifica internazionale che studia i cambiamenti climatici), a Parigi, a fine 2015, i responsabili di 195 Paesi hanno adottato il primo accordo globale giuridicamente vincolante sul clima.
Dopo 21 conferenze mondiali, a partire dal 1992 (convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), finalmente si è arrivati ad un compromesso, che si può tradurre, sostanzialmente, così: operiamo perché l’aumento medio della temperatura sulla Terra per fine secolo sia mantenuto entro un massimo di 2° C, nella consapevolezza dei danni che ciò comunque comporterà (v. pillola n. 4), ma evitando lo scenario devastante che, in caso di crescita incontrollata, porterebbe – come dimostra l’IPCC – a + 5° C la differenza rispetto ad inizio secolo.
Poi ti arriva mr. Trump, che dichiara spudoratamente di voler rinnegare l’accordo di Parigi…
Per quanto sia importante ogni atto individuale di responsabilità in materia, è ovviamente indispensabile una politica - la più internazionale possibile, data la natura del problema - che produca “buone leggi per tutti”. E in fretta!
Basterebbe la stessa fretta con cui in Italia, per esempio, si fanno leggi per obbligarci a pagare il salvataggio delle banche.
Rispetto agli scenari futuri, l’autorevole istituto francese Pierre Simon Laplace ha già prodotto simulazioni fino al 2.300: ne viene fuori un pianeta per dinosauri, non per l’uomo.
Il Nord-Ovest italiano, per inciso, risulta particolarmente “esposto” per motivi meteorologici: già i 5° C in più possibili a fine secolo comporterebbero per Torino un clima assimilabile a quello di Karachi (Pakistan).
E gli Oceani?
I 3 millimetri/anno di attuale aumento del livello dell’acqua sembrano una stupidata, ma proiettati nel futuro fanno ben comprendere come tra i “profughi climatici” di una prossima tornata potrebbero esserci proprio quegli abitanti del delta del Po che lo scorso anno, sotto Natale, sono insorti per cacciar via un gruppetto di migranti dalle “proprie” terre.
Già tre comunità indipendenti nell’ambito degli atolli dell’Oceania hanno ufficialmente chiesto alle Nazioni Unite la “delocalizzazione” delle proprie popolazioni per motivi climatici: per ora si tratta di spostare altrove popolazioni e forme di governo relative a 1000-2000 persone; ma non si può negare che di questo passo la questione potrebbe riguardare prossimamente il Bangladesh, piuttosto che la Florida.
Sono faccende che fanno scrivere ad una delle più autorevoli riviste scientifiche (Proceedings of the Royal Society) che è necessario un “incisivo ed immediato cambiamento culturale”…

(Massimo Grisoli)

Foto: S. Beccio – M. Grisoli (Il lago Secco dell’Alevè)


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